martedì 23 marzo 2010

CANDIDATURE: LA FEROCIA DI UN MERCATO


Candidature: la ferocia di un mercato.


Mentre si chiudevano le candidature per le prossime elezioni regionali, nonostante gli spazi elettorali non fossero stati ancora assegnati, per buona parte dei candidati la campagna elettorale era un fiume in piena. Dai primi di gennaio, nelle nostre città, con larghissimo anticipo sui tempi istituzionali, impazzavano già gigantografie di candidati con slogan altisonanti.

Il dato più rilevante di questa consultazione elettorale, sottaciuto dalle cronache dei TG e dei quotidiani, è che, in diversi casi, si è trattato di auto-candidature: delle vere e proprie imposizioni, fatte agli stessi partiti, fondate sulle prerogative economiche individuali e sul gioco d'anticipo.

Fortuna vuole che la legge elettorale per le amministrative contempli ancora il sistema delle preferenze tanto da permettere all'elettorato di scegliere i propri rappresentanti.

Intanto, nella mentalità democratica si è andata sempre più affermando la visione utilitaristica e clientelare della politica, che da disciplina al servizio della collettività è divenuta ormai attività a supporto di pochi: quello che un tempo veniva denunciato come un rischio si è affermato come un costume.

E' così che siamo passati al mercato delle candidature. Un feroce mercato sommerso, che non si è fermato nemmeno allo scadere della presentazione delle liste e che ha costretto a stravolgere la Costituzione con Decreti Legge (salva liste) interpretativi e retroattivi. Una vera e propria vergogna che altera l'assetto democratico del paese oltre che, come se non bastasse, svilire ancora una volta i costumi collettivi e il rispetto delle regole comuni.

Dovremmo chiederci se non sia il caso di pensare, una buona volta per tutte, ad una più sobria regolamentazione delle candidature e delle campagne elettorali che scongiurino la tentazione e il sospetto di tornaconti personali, o delle lobby a cui si appartiene, se davvero si vuole una civiltà matura, democratica, liberale, che tenga conto della parità dei diritti, dell'uguaglianza dei cittadini nei confronti dello stato e della legge. Non è da qui che prende le mosse uno stato libero, egualitario, democratico, evoluto?

Un seggio in Parlamento come uno alla Regione serve forse a soddisfare esigenze di campanile e personali? Quello che preoccupa, dunque, e che questo modo di fare serva ad affermare non più una visione di parte - che pure è il segno di una sconfitta della nostra civiltà – ma, peggio, interessi di natura strettamente egoistica.

Guai fosse ridotta a questo la politica. Ciò rappresenterebbe un vero e proprio salto indietro nel più buio passato di medioevale memoria, quando le città erano “l'un contro l'altro armate” (A. Manzoni), in una lotta fratricida tesa solo ad affermare la potenza di un signore, di un comune o di uno stato contro l'altro. Non vorremmo che uno scenario simile veda davvero nord e sud contrapposte.

Non pochi slogan elettorali risuonano intanto come un richiamo a coloro che appartengono a determinate fazioni (destra/sinistra), lasciando intendere che gli altri per punizione ne resteranno fuori: quanto di più antidemocratico e incivile possa esistere, del tutto contrario alla missione inclusiva della politica.

E' questo atteggiamento che ha immesso nel pensare collettivo l'archetipo inconscio e oscuro di una politica ben lungi da essere al servizio dell'umanità, divenuta niente altro che uno strumento per il bene di pochi. Gli altri ciccia!

La politica, per la sua natura intrinseca - che è quella del servizio - non dovrebbe essere tanto il risultato di meriti personali - soprattutto se ci si riferisce a meriti di natura economica - ma il frutto di una visione condivisa e consapevole. Tutt'al più i meriti dovrebbero appartenere ad una collettività degna di sé, che si evolve nel segno della coscienza del proprio percorso.

Mentre altri ambiti dello scibile umano, come le scienze, si muovono nel segno del progresso e dell'affrancamento, e sono potenzialmente al servizio di tutti, i segni della politica sono in netta contraddizione con i principi democratici della condivisione e dell'unione, contro la politica come mezzo d'incontro e soddisfazione delle esigenze di tutte quelle comunità che abitano la “polis” e che intendono proiettarsi verso un futuro di libertà.

Giuseppe Vinci

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