Le nuove schiavitù: il fallimento della politica.
Facciamo un esempio? Le strade. In ogni città non ce né più una sana. Ormai non si tratta più di buche ma di veri propri crateri. E si perché a forza di rattoppi l'assetto del manto stradale ha perso ogni consistenza, ogni stabilità, un po' come l'assetto istituzionale della nostra repubblica che a stento permette l'esercizio dei doveri e dei diritti della collettività privilegiando solo chi è in possesso di potenti fuoristrada. Insomma le nostre sono più simili a sepolcri imbiancati.
Ma quella delle strade e delle istituzioni pare proprio che sia una questione vecchia come l'uomo.
Un problema che non si poneva nell'antica Roma. E infatti i romani avevano gli schiavi, a costo zero. Giusto vitto e alloggio, magari da condividere con le bestie.
I governi di centrodestra tentano, ormai da 15 anni, spesso con il conforto incosciente a volte muto, afasico, incapace ad esprimersi, delle opposizioni di reintrodurre ancora una volta la schiavitù.
Basta vedere quello che è successo con l'Art. 18. Roba da medioevo! In un solo giorno sono stati buttati via millenni di sofferenze e ben trecento anni di lotte per difendere il lavoro, non solo quello operaio, spesso ormai anche quello autonomo e imprenditoriale. Acquisisce così una nuova emergenza lottare per l'affermazione dei più fondamentali diritti dell'uomo, primo tra questi la libertà di essere se stessi e di autodeterminarsi attraverso l'unico strumento che restituisce dignità e nobiltà all'uomo: il lavoro. Non di certo quel lavoro, nero, in cui la vita è pagata meno di 5 euro all'ora, come è accaduto di recente a Pavia per una neo laureata. Dove la vera precarietà è quella di una giovane vita che non c'è più, persa tra le maglie di un nastro trasportatore di una azienda avicola.
Nonostante ciò, nonostante milioni di lavoratori vivono ormai con la scure sulla testa, e con loro milioni di famiglie, in Italia l'astensione al voto, il rifiuto di partecipare alle scelte politiche pesa più che un partito di maggioranza, più dell'ennesima affermazione del centrodestra. Un partito silente, quello degli astenuti, che rifiuta di costruire il proprio futuro, di riappropriarsi della politica.
Non sono confortanti le dichiarazioni di alcuni dirigenti del maggiore partito dell'opposizione subito dopo i risultati di queste ultime consultazioni quando parlano di tenuta, per rendersi conto di quanto certa politica è autoreferenziale, distante dalla realtà, distante soprattutto dalla gente che pretende di rappresentare.
Nonostante l'affermazione di Vendola in Puglia il centrosinistra cede ancora quattro regioni e il recentissimo responso dei ballottaggi alle comunali non smentisce la parabola discendente.
Non solo non c'è alcun accenno a cambiare atteggiamento, ammettendo di aver ancora una volta fallito obbiettivi (se mai ce ne fossero stati) e scelte, di non essere in grado di interpretare i sentimenti non dell'elettorato (che brutta parola!), ma della gente. Sarebbe opportuno, tanto per cominciare, ammettere, soprattutto a sé stessi, che il risultato elettorale nazionale è negativo; che da soli non si va da nessuna parte; che senza un progetto di alternativa, un progetto condiviso da tutti, non solo non si vince – considerando che non si tratta di una gara ma di proporre soluzioni per il paese – ma che soprattutto così si continua a erodere la rappresentanza politica di un mondo abbandonato alle aggressioni reazionarie del potere che stenta a perdere la maschera.
Come dice Nichi Vendola è giunto il tempo di trasformare il sostantivo potere in un verbo e metterlo al servizio della politica, del paese, della gente. Bene ha detto - ancora - sostenendo la necessità di azzerare tutto e ricominciare da capo, tutti insieme. A meno che i vecchi signori del centrosinistra non abbiano in mente di far scomparire definitivamente la voce dei più deboli, rendendoli schiavi della necessità prima e del padrone di turno poi.
Eppure a partire dalla Puglia le testimonianze di una possibile inversione di marcia ci sono e sono lampanti. Il laboratorio pugliese dimostra che le energie latenti se messe in moto – come è per i Bollenti Spiriti: Laboratori Urbani, Principi Attivi, Libera il Bene - diventano in poco tempo energie attive, dando risposte concrete alle individualità e a intere famiglie vecchie e nuove. Questo mette di buon umore gli italiani, non vuoti proclami.
Ora, Nichi, la voce che grida nel deserto afasico della politica che non sa ascoltare e parlare, dovrà affrontare e sconfiggere ancora ulteriori diffidenze, logiche numeriche, spartizioni, politicismo, pregiudizi e chi sa cos'altro ancora prima di essere ascoltato e riconosciuto, non per se stesso ma per il modello, l'esempio che propone, come il vero valore aggiunto della politica.
Ascoltavo nei giorni passati un intervista di Bersani su Sky TG, subito dopo i disastrosi risultati elettorali, in cui il segretario del PD, si è più volte soffermato sul "contributo fattivo dell'UDC apportato a queste regionali, un contributo segno di una grande intesa che può trovare risposte per il futuro". Mentre sul laboratorio pugliese a mala pena un accenno. Ero esterrefatto, non per il mancato riconoscimento di Vendola e della Puglia, ma per il rincorrere ancora insulse logiche retrograde che si fondano su alchimie numeriche anziché su programmi e metodo.
Ora Nichi e ogni cittadino che ha a cuore la propria sorte, a parer mio, dovrebbe senza perder tempo, dedicare parte del lavoro al rinnovamento generazionale e metodologico del fare politica. Questo è un impegno a cui non ci si può sottrarre. E sono convinto che Nichi e l'Italia Migliore ce la faranno ancora una volta, come è accaduto in Puglia.
Ora è necessario iniziare a costruire. E' dinnanzi a noi il nostro futuro. Tocca a noi costruirlo. Non possiamo assegnare più a nessuno deleghe in bianco: sono finite.
C'è d'augurarsi che tutti possano sentire l'impegno a fare propria l'azione politica, di rifondarne la strada, poiché la politica nella sua accezione più alta si occupa dell'uomo e dei suoi percorsi. Solo così potremo raccontare di essere stati artefici del nostro futuro e non schiavi con l'anello (se pur mediatico) al naso.